Si fa un gran parlare di 'neutralita`', di ' oggettivita`', di 'contraddittorio' in questi giorni in Italia. Soprattutto alcuni portavoce della attuale maggioranza, spesso all'interno di accese critiche nei confronti dei Santoro e Travaglio di turno (ma non solo), si appellano a questa 'commonsensical' versione della liberta` di espressione. Su questo punto vorrei concentrare la mia riflessione di oggi.
Innanzitutto, alla luce di quanto detto anche in questo blog sul lavoro di Foucault, non posso che guardare con sospetto riferimenti al 'senso comune', l'utilizzo dell'avverbio 'naturalmente', o il ricorso alla retorica della 'ovvieta`' di un qualsivoglia giudizio morale. Proprio li`, in quei 'naturalmente', in quei ' e` ovvio', almeno potenzialmente, si puo` trovare l'opera di 'normalizzazione' a cui mi riferivo in un precedente post. Proprio in cio` che percepiamo come acriticamente 'naturale' e 'ovvio' si puo` nascondere una forma di potere. Allora le mie domande diventano: cosa sta dietro all'appello all'oggettivita`, al contraddittorio, alla neutralita`? Cosa sta dietro all'appello al senso comune, al richiamo all'ovvieta`, al 'tutti capiranno che'? Cosa vuole CREARE una tale retorica ( Butler parlerebbe, basandosi sul lavoro del celebre linguista Austin, di 'performativita`")? Puo` essere un modo di attuare una opera di 'normalizzazione? In soldoni, l'appellarsi a un ipotetico preesistente 'ragionare e sentire comuni' puo` essere considerato un modo per CREARE, invece, UNO specifico ( e quindi vantaggioso solo per alcuni) 'ragionare e sentire'?
Il mio lavoro di antropologa, per parafrasare Levi-Strauss, e` quello di tentare di porre domande appropriate e non tanto di fornire risposte. Tuttavia, mi pare davvero di leggere, alla luce di alcune delle piu' fondamentali discussioni epistemologiche della mia disciplina, un tentativo 'normalizzante' ( deliberato o meno, non mi interessa) dietro a questi onnipresenti appelli alla 'non-faziosita`' di discussioni, manifestazioni, e tipologie di trasmissioni giornalistiche.
Uno sguardo 'non fazioso', infatti, semplicemente NON ESISTE.
Tutti quanti, infatti, quando osserviamo, scriviamo, raccontiamo lo facciamo da un determinato punto di vista-il nostro. Selezioniamo informazioni, ne giudichiamo la rilevanza, siamo sensibili a certi e non altri aspetti dei 'fenomeni' a cui siamo di fronte. La pretesa di 'oggettivita`' non e` infatti altro che una illusione, spesso una convenzione, sempre una 'menzogna' narrativa. Ed e` proprio a questo punto che, a mio parere, la questione epistemologica diventa questione morale.
Cosa sta dietro al tentativo di 'normalizzare' i punti di vista? Che cosa sta dietro al 'nascondere' il proprio punto di vista dietro una presunta 'oggettivita`?
Non e` forse piu` 'vero' e moralmente accettabile, allora, dichiarare apertamente ed esplicitamente la propria 'faziosita`' invece che pretendere di non essere faziosi?
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